Chi conosca, anche superficialmente, i principi essenziali della responsabilità sociale dell’impresa, riflettendo sul titolo, non può non cogliere una contraddizione: come può una decisione di investimento essere influenzata dalla responsabilità sociale d’impresa, cioè da un complesso di tecniche la cui caratteristica essenziale è la volontarietà?
Per evidenziare questa apparente contraddizione è sufficiente riprendere la definizione che, della responsabilità sociale dell’impresa, si ricava dai documenti della Commissione Europea quale “integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate”.
L’imprenditore non è e, si auspica, non sarà mai obbligato ad adottare, nella sua azienda, prassi di responsabilità sociale, quindi perchè dovrebbe includerla nei suoi processi decisionali?
La risposta è un po’ articolata ma chiarissima: se è vero che l’impresa è il luogo dove si devono comporre gli interessi, spesso contrastanti, dei vari stakeholder del territorio e se è vero che scopo primario della responsabilità sociale dell’impresa è quello di far si che l’imprenditore non si estranei dalle problematiche che insistono sul territorio dove l’impresa esercita la sua influenza economica, è anche vero che l’investimento, linfa vitale dell’impresa, non va considerato soltanto sotto il profilo della spesa occorrente per la sua realizzazione, ma anche relativamente ai vantaggi sociali che sarà in grado di offrire.
Quindi, avvicinare il tema delle decisioni di investimento a quello della responsabilità sociale dell’impresa, significa accettare che la redditività dell’investimento venga valutata anche rispetto a quelle evidenze non economiche e diluite nel tempo che attengono alla compagine sociale.
Dall’investimento si attende una accresciuta occupazione e con essa una crescita della domanda di beni di consumo che, di rimbalzo, porti ad una crescita dei beni strumentali necessari ad ottenerli:ll profitto aziendale che si riflette sul benessere sociale.
Occorre però tener presente che tale circolo virtuoso, seppur instaurato, sarà sempre in delicato equilibrio, perché trascende i limiti della singola impresa e dipende, in gran parte, dalla coordinazione di più imprese della medesima industria quando non da industrie diverse che cooperino ad uno stesso processo produttivo.
Ma è tempo di porre il discorso in termini pragmatici:
La possibile risposta vuole una premessa: da un lato abbiamo una decisione di investimento, materia eminentemente tecnica che si avvale anche di formule matematiche, dall’altro vi è la responsabilità sociale dell’impresa che ci porta, a pieno titolo, nel campo delle scienze sociali, dove chiedere risultati definitivi ed incontrovertibili non ha molto senso.
Come nostro costume, partiamo da una ipotesi di lavoro e cioè che, all’inizio del suo processo decisionale, all’imprenditore si presentino diverse alternative di investimento - e questo è un fatto normale nella vita economica - perché ogni atto che richiede tempo e mezzi scarsi per il conseguimento di uno scopo, implica la rinuncia ad usarli per raggiungerne un altro: l’investimento non fa eccezione a questo principio; non staremmo qui a disquisire se le risorse finanziarie e quant’altro fossero abbondanti per ogni possibile utilizzazione.
Supponiamo ancora che l’imprenditore, per arrivare a “decidere”, intenda avvalersi di uno studio di fattibilità.
Un breve cenno a questo mezzo istruttorio risulta quanto mai utile: possiamo definire studio di fattibilità quel mezzo istruttorio che tende a ridurre i rischi di una iniziativa imprenditoriale attraverso l’individuazione di tutte le componenti tecniche ed economiche di una proposta di investimento, nonché la quantificazione dei mezzi finanziari indispensabili alla sua realizzazione.
E’ evidente che non può esistere un “modello” di studio di fattibilità, non fosse altro che per infinite possibilità di applicazione che, a questo mezzo, vengono riconosciute; si può però tentare la ricerca di un denominatore comune, considerando alcune fasi minime, attraverso le quali uno studio di fattibilità debba necessariamente passare.
La prima sicuramente consiste nell’individuazione del mercato di riferimento, cosa indispensabile perché l’imprenditore – investitore sa già in quale campo vorrà dirigere le sue risorse e vorrà acquisire tutta una serie di informazioni che gli permettano di stabilire se quella determinata iniziativa – che è ancora a livello di idea o, al massimo, di abbozzo progettuale – avrà su quel territorio, buone possibilità di successo.
La rappresentazione visiva di quanto stiamo dicendo è la seguente:
investimento ------- territorio------------------vocazione territoriale
L’investimento è destinato ad un territorio, cioè ad un complesso di relazioni fra loro interagenti, destinate a creare opportunità produttive ed occupazionali alla comunità residente e ogni territorio si contraddistingue per una sua vocazione, cioè per un insieme di valori prevalenti a cui la comunità residente non vuole rinunciare: l’imprenditore – investitore terrà nel massimo conto questo elemento così personalizzante del territorio in quanto è consapevole che la vocazione territoriale segna il limite virtuale della capacità di un territorio di recepire innovazioni.
La seconda fase si sostanzia nell’analisi della domanda e dell’offerta nel luogo considerato, attinenti alla tipologia di investimento che si vuole impiantare: poniamo il caso che l’investimento miri alla realizzazione di una nuova struttura alberghiera, sicuramente uno dei primi accertamenti riguarderà se vi siano state chiusure di alberghi nel recente – medio passato e l’analisi delle cause che hanno portato alle cessazioni di attività.
L’analisi potrebbe continuare con la scomposizione degli elementi fondamentali della domanda (quante persone, sempre nel territorio considerato, viaggiano per lavoro o per turismo), mentre, direttamente collegato con lo studio del mercato di riferimento sarà l’accertamento relativo alla possibilità, del territorio, di essere eventualmente utilizzato come mercato congressuale.
Non si vuole ulteriormente approfondire, ma solo ribadire che la conoscenza del mercato della domanda e dell’offerta offre una concreta possibilità di stima circa il futuro andamento dell’investimento, mettendone in luce, soprattutto, i limiti.
Per quel che concerne la valutazione dell’area che definiamo la terza fase dello studio di fattibilità, siamo in un campo ancora più delicato e complesso perché occorrerà distinguere se l’investimento di che trattasi sia destinato a rafforzare, ampliare, potenziare, migliorare in genere una struttura esistente oppure alla realizzazione di una struttura ex-novo.
Pur essendo alcuni dati – base comuni ad entrambe le ipotesi, nel secondo caso, quello di un nuovo insediamento, potranno essere di aiuto le tavole a doppia entrata dell’economista Ricossa e che sono riconducibili ai vari fattori di localizzazione; di ogni singolo fattore localizzativo verranno esaminati gli aspetti interessanti per la decisione di investimento.
Quindi, se, ai fini della valutazione di un’area uno degli elementi da considerare sono i terreni industriali presenti, di questi verranno esaminati gli aspetti economici (condizioni di acquisto, possibilità di rivalutazione), gli aspetti infrastrutturali (lavori di adattamento), gliaspetti pubblici (edificabilità, espropriazioni), gli aspetti socio – politici (paesaggio, altri usi dei terreni).
Nel caso, invece che, oggetto di studio valutativo siano gli impianti, dovranno essere valutati, per gli aspetti economici i costi e tempi di realizzazione, installazione e manutenzione, per gli aspetti infrastrutturali, i servizi tecnici disponibili e così via.
La nostra non esaustiva elencazione di fasi attraverso le quali necessariamente passa uno studio di fattibilità potrebbe concludersi con l’analisi economico – finanziaria del progetto, che è core business dello studio di fattibilità.
Non dimentichiamo che si sta parlando di una proposta di investimento: il progetto ne costituisce l’essenzialità e la prima cosa da porre sotto esame è, appunto, il costo vivo del progetto e tutti i costi ad esso ricollegabili. Quindi prevedere, ad esempio che potrebbero non essere disponibili, per intero, le risorse occorrenti e palesare la necessità di ricorrere a varie forme di finanziamento con le innegabili conseguenze.
Fin qui i possibili rischi di un investimento, ma è chiaro che uno studio di fattibilità deve saper esporre anche i possibili futuri profitti che si potrebbero ricavare dal complesso dell’operazione di investimento; è chiaro che l’incertezza, se possibile, è ancora maggiore rispetto alla valutazione dei rischi, eppure chi deve decidere su una proposta di investimento deve poterne misurare la redditività, in definitiva per accettare o respingere il progetto in questione.
Una metodica abbastanza seguita prende in considerazione l’ammontare dell’esborso iniziale, cercando di determinare il periodo di recupero del capitale investito,; vengono conteggiati, cioè, i redditi futuri. Vi sono altre metodiche che possono aiutare nella previsione di redditi futuri, qui basterà ricordare che, nella specifica tematica, qualunque metodo previsionale venga adottato, l’incertezza regna sovrana.
Il risultato numerico finale del calcolo economico che il nostro imprenditore è portato a fare nella scelta fra le alternative di investimento, spesso ha un valore relativo e l’eventuale sostituzione di un progetto con un altro avviene in base a criteri riferibili alla qualificazione, alla localizzazione, alla dimensione di ciascun progetto, tutti comunque validi e confrontabili.
Vorremmo, a questo punto, riprendere le fila del discorso: l’imprenditore che, di fronte ad una serie di alternative di investimento e, volendo avvalersi di uno studio di fattibilità, può essere ulteriormente aiutato, per il suo iter decisionale, da valutazioni attinenti alla responsabilità sociale dell’impresa? Diciamolo per altro verso: la responsabilità sociale dell’impresa deve diventare una “fase” di uno studio di fattibilità o se ne può fare a meno senza che l’economia generale dell’operazione ne venga a soffrire?
Il concetto di responsabilità sociale d’impresa sta a significare, sostanzialmente, che è l’impresa stessa che, sua sponte, decide di contribuire a migliorare il contesto sociale nel quale opera: l’imprenditore lungimirante sa che, nel medio – lungo periodo la crescita economica andrà di pari passo con la coesione sociale e che la promozione del territorio è diventata uno degli assi portanti della politica aziendale.
L’imprenditore che investe tenendo conto dei risvolti sociali della sua azione è imprenditore innovatore, l’imprenditore che mira allo stakeholder engagement cioè al coinvolgimento diretto degli stakeholder destinatari dei possibili benefici del suo investimento è imprenditore innovatore.
Le decisioni di investimento che possono avere un impatto, più o meno marcato, sul territorio, necessitano di coinvolgimento: anche solo aver capito questo concetto, questa necessità, significa essere imprenditore socialmente responsabile e, ammesso che quest’ultimo voglia avvalersi dello strumento istruttorio “studio di fattibilità” per i suoi percorsi decisionali, in tale strumento si dovrà riconoscere anche una “fase “ dedicata alla responsabilità sociale d’impresa, dove vengano evidenziate possibilità di dialogo e grado di cooperazione con la comunità territoriale.
di Simona Petrozzi e Simone Piccirilli